È prassi assai comune che nei contratti di compravendita di partecipazione vengano previste delle clausole di garanzia, che di norma sono collegate a delle clausole di indennizzo, mediante le quali le parti regolano le circostanze in cui si possono innescare le previsioni delle prime.
Sostanzialmente, la funzione delle clausole di garanzia e delle clausole di indennizzo è quella di tutelare l’acquirente da eventuali effetti pregiudizievoli.
Dunque, un indennizzo per ogni perdita o danno subito e che non si sarebbe verificato qualora la rappresentazione dei fatti e le dichiarazioni del cedente fossero state veritiere.
Da un punto di vista fiscale, la tesi sostenuta dalla dottrina prevalente prevede che le somme che il cedente dovesse corrispondere a titolo di indennizzo all’acquirente rappresenterebbero una rideterminazione a posteriori del valore economico della società ceduta.
Secondo questo orientamento, le somme in oggetto sarebbero collegate al prezzo corrisposto in origine e dunque assumerebbero la natura di aggiustamenti di prezzo, sia sotto il profilo contabile che sotto quello fiscale.
Con la sentenza n. 17011 del 13/08/2020, la Cassazione aveva prospettato però un diverso orientamento.
Veniva trattato il caso di un soggetto che, dopo aver acquistato le partecipazioni in una società successivamente fusa, a seguito della definizione di un avviso di accertamento relativo ad un anno precedente al trasferimento, aveva fatto ricorso alla clausola di garanzia prevista nel contratto di acquisto, ottenendo dal cedente il pagamento di una somma a titolo di indennizzo parziale.
La società aveva qualificato tale indennizzo come una posta patrimoniale, mentre a conto economico aveva rilevato una sopravvenienza passiva per la parte non coperta dall’indennizzo.
A parere della società l’indennizzo non doveva quindi concorrere alla formazione del reddito imponibile.
Con un’opinione opposta si è espressa la Cassazione, affermando che nel caso in esame si è dinanzi ad una clausola di garanzia con cui il venditore si farebbe carico di uno specifico impegno nei confronti dell’acquirente, e non una clausola di aggiustamento del prezzo.
In altri termini, si tratterebbe di una clausola che avrebbe una funzione di tipo assicurativo con la conseguenza che la sopravvenienza passiva sarebbe indeducibile, mentre l’indennizzo concorrerebbe alla formazione del reddito imponibile dell’acquirente configurandosi come sopravvenienza attiva ex art. 88 co. 3 Tuir.
La tesi sostenuta nella citata sentenza non rappresenta però una soluzione definitiva.
Ne è prova anche la differente soluzione a cui giunge l’Agenzia delle Entrate nella risposta all’interpello n. 956-2412/2021 del 01.07.2021, nella quale afferma la natura patrimoniale dell’indennizzo, inteso come rettifica di prezzo, escludendone quindi la qualificazione a sopravvenienza attiva.
La risposta ha invece ritenuto, destando non pochi dubbi, che l’indennizzo sarebbe soggetto ad Irap in virtù del principio della presa diretta dal conto economico.
Data l’elevata complessità tecnica dell’argomento sarebbe opportuno che le parti del contratto valutino con attenzione, in sede di formulazione, le clausole di garanzia e di indennizzo da inserire, al fine di agevolare una migliore qualificazione alla natura delle somme corrisposte.
Leggi l’interpello dell’Agenzia delle Entrate e la sentenza della Cassazione:
Interpello n. 956-2412 del 01.07.2021
Sentenza Cassazione n. 17011 del 13.08.2020