Tassazione del lavoro da remoto per datore estero

Con le Risposte a interpello n. 98 e 99 del 19 gennaio 2023, l’Agenzia delle Entrate si è nuovamente espressa in merito della tassazione dei redditi di lavoro dipendente in remote working percepiti a fronte di prestazioni rese a favore di datori di lavoro esteri.

Nello specifico, con la Risposta n. 98 ha trattato il caso di un ricercatore italiano che ad aprile 2020 ha iniziato un rapporto di lavoro con un’università svizzera per una posizione di ricercatore; a causa dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, lo stesso ha lavorato in smart working dall’Italia fino a giugno 2020, trasferendo successivamente il proprio domicilio in Svizzera dalla metà di giugno 2020, ed ha effettuato l’iscrizione all’Aire soltanto a fine luglio 2020, con la conseguenza di essere considerato per l’anno 2020 fiscalmente residente in Italia.

In questo caso entrambi gli Stati hanno titolo per considerare il soggetto come proprio residente: ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, il conflitto verrebbe risolto facendo ricorso al meccanismo del frazionamento del periodo d’imposta previsto dall’art. 4 paragrafo 4 della Convenzione Italia-Svizzera. Mediante tale meccanismo, considerato che il cambio di domicilio dall’Italia alla Svizzera è intervenuto a giugno 2020, l’Italia può esercitare il proprio diritto impositivo, basato sulla residenza, fino a tale momento, mentre la Svizzera può far valere la propria pretesa impositiva a decorrere dal giorno successivo.

Inoltre, per quanto riguarda il trattamento del reddito di fonte svizzera corrisposto a fronte dell’attività di ricerca post-dottorato, bisogna fare riferimento alle disposizioni convenzionali previste per i redditi di lavoro dipendente dall’art. 15 della Convenzione, le quali prevedono la tassazione esclusiva nello Stato di residenza, ad eccezione del caso in cui l’attività sia svolta nell’altro Stato.

Con la Risposta n. 99 viene affrontato un caso simile, ossia quello riguardante un lavoratore dipendente italiano di una società cinese, rientrato in Italia ad inizio 2020 e rimasto “bloccato” a causa delle restrizioni conseguenti alla diffusione della pandemia: per tutto questo periodo il soggetto ha continuato a lavorare in smart working dall’Italia alle dipendenze della società cinese.

Per poter individuare la residenza fiscale per il 2020, l’Agenzia delle Entrate richiama i criteri dettati dall’art. 2 del Tuir, applicabili in assenza di una disposizione normativa che tenga conto dell’emergenza pandemica, nonché, in caso di conflitto di residenza, le tie breaker rules previste dall’art. 4 paragrafo 2 della Convenzione Italia-Cina: queste regole individuano, in via principale, il criterio di abitazione permanente, cui seguono, in ordine gerarchico, il criterio del centro di interessi vitali, del soggiorno abituale e della nazionalità. In base a tale premessa, assumendo acriticamente che la persona risulti residente in Cina per l’anno 2020, l’Agenzia sottolinea che, in base all’art. 15 paragrafo 1 della Convenzione, il reddito di lavoro dipendente percepito per l’attività di lavoro svolta in Italia verrebbe tassata anche in tale Stato, non rilevando il principio di tassazione esclusiva nello Stato di residenza previsto dal paragrafo 2, in quanto il soggiorno in Italia è superiore a 183 giorni.

Infine, l’Agenzia conferma che il principio per cui i giorni lavorati nell’altro Stato per motivi eccezionali si considerano giorni lavorati nello Stato in cui in via ordinaria era prestata l’attività lavorativa, vale solo in presenza di appositi accordi amministrativi interpretativi dell’art. 15 del modello Ocse a seguito delle restrizioni contro la diffusione del Covid e a condizione di reciprocità (nello specifico si tratta solo degli accordi siglati dall’Italia con Austria, Francia e Svizzera).

 

Consulta le risposte complete dell’Agenzia delle Entrate.