Sede amministrativa in Italia e residenza holding estera

Con la sentenza n. 35085/2023 della Corte di Cassazione è stato stabilito che una società di diritto lussemburghese, con sede dell’amministrazione in Italia, deve essere considerata residente in Italia ai sensi dell’art. 73, comma 3 del TUIR.

In particolare, tale società è stata ritenuta residente fiscalmente in Italia in quanto la localizzazione era riconducibile da vari elementi indicativi del luogo in cui venivano prese le decisioni strategiche, industriali, finanziarie e di programmazione dell’impresa. La linea difensiva si basava sul principio di libertà di stabilimento di matrice comunitaria e su interpretazioni giurisprudenziali minoritarie, secondo cui la residenza e l’esterovestizione dovrebbero essere valutate alla luce dell’abuso del diritto: secondo tale punto di vista, la società risulterebbe residente all’estero, anche se diretta e amministrata in Italia, in tutti i casi in cui esista nell’altro Stato una struttura che non abbia la natura di mera costruzione artificiosa nella quale far confluire i proventi di illeciti fiscali.

Invece, la Corte ha rimarcato nuovamente l’importanza del criterio sostanziale della sede dell’amministrazione, conforme alle norme interne e alle Convenzioni contro le doppie imposizioni.

Una volta accertata la residenza italiana della società, la Corte ha altresì confermato che il credito per le imposte assolte all’estero non è ammissibile in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di mancata indicazione dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione presentata. Nel caso specifico, poiché la società non ha presentato la dichiarazione dei redditi in Italia, l’utilizzo dell’eventuale credito d’imposta sarebbe precluso.

 

Consulta la sentenza completa della Corte di Cassazione.