Esterovestizione e imposta di registro

La sentenza della Cassazione n. 3386 del 6/02/2024 fa chiarezza su un caso riguardante una società di diritto britannico che è stata oggetto di un avviso di liquidazione per maggiore imposta di registro, poiché si configurava, a parere dell’Agenzia delle Entrate, la presunta residenza in Italia.

La società in questione aveva deliberato un aumento del capitale sociale mediante il conferimento di immobili situati in Italia da parte di un socio residente in Italia. Secondo l’art. 4 nota IV parte I della Tariffa allegata al DPR 131/86, l’atto era soggetto a imposta di registro fissa, in quanto legato a una società con sede legale o amministrativa in un altro Stato membro dell’Unione Europea (all’epoca dei fatti).

La sentenza pone rilievo all’applicazione dell’art. 73 del TUIR, in particolare sul comma 5-bis (presunzione di esterovestizione) e sul comma 3, che stabilisce i criteri di collegamento con il territorio per la residenza. Quindi, dopo aver chiarito che la presunzione di esterovestizione non è applicabile al caso oggetto del giudizio, mancandone il presupposto principale (non si trattava, infatti, di residenza di una società controllante di una società residente), i giudici della suprema corte hanno analizzato se la sentenza di secondo grado abbia correttamente valutato gli elementi indicati dall’Agenzia delle Entrate a dimostrazione della residenza in Italia della società conferitaria.

Nel farlo, il giudizio sull’esistenza nel Regno Unito o in Italia della sede amministrativa richiama la consolidata giurisprudenza relativa all’art. 73 Tuir, per cui essa è il “luogo di concreto svolgimento delle attività amministrative e di direzione della società”.

La Corte sottolinea che il concetto di esterovestizione societaria si estende non solo alle imposte sui redditi ma anche alle imposte indirette, trovando fondamento nel diritto tributario europeo, nel dovere costituzionale di partecipare alla spesa pubblica e nelle regole di derivazione UE e OCSE.

La Corte conclude che la sentenza impugnata non abbia correttamente valutato, nel loro insieme, tutti gli elementi, portati a sostegno della propria tesi dall’Agenzia delle Entrate, a dimostrazione della “fittizietà della localizzazione della residenza fiscale dell’ente societario in altro Stato membro dell’Unione Europea”. Infine, si rimarca la centralità della residenza dell’amministratore unico e socio unico in Italia rispetto a un ufficio nel Regno Unito, il cui ruolo e utilità non sono stati dimostrati.

 

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