Cessione totalitaria di partecipazioni e cessione d’azienda

Con due recenti sentenze (la n. 7470 e la n. 7495), la Cassazione conferma la sua linea interpretativa consolidata sull’impossibilità di considerare la cessione totalitaria di partecipazioni come una cessione d’azienda, come già stabilito nella sentenza n. 34917/2023. Questo consolidamento è tale che la Suprema Corte formula due principi di diritto ben delineati.

In base al primo principio, espresso nella sentenza n. 7470/2024, si afferma che “la cessione totalitaria di quote societarie è soggetta ad una disciplina codicistica difforme da quella che regola la cessione d’azienda, sia sotto il profilo del regime di responsabilità dei debiti che della continuazione della medesima attività imprenditoriale, il che osta alla possibilità di qualificare la cessione di quote quale cessione d’azienda, in mancanza di elementi intrinseci all’atto soggetto a registrazione da cui inferire una diversa volontà delle parti”.

In aggiunta a questo concetto, la sentenza n. 7495/2024 stabilisce che anche quando si tratti di una cessione totalitaria della partecipazione al capitale di una società di persone o di capitali, l’imposta di registro deve essere sempre liquidata in misura fissa, ai sensi dell’art. 11 della Tariffa, Parte I, allegata al DPR 131/86. Questo perché, come sottolineato, l’Amministrazione finanziaria non può riqualificare la cessione come cessione indiretta di azienda in assenza di elementi extratestuali o atti collegati, conformemente all’art. 20 del DPR 131/86.

Anche il fatto che la cessione totalitaria di quote sia inclusa in un unico atto da registrare non muta tale conclusione. Riqualificarla come cessione d’azienda richiederebbe il riferimento a elementi estrinseci, poiché gli effetti giuridici dei due atti sono differenti. Come sottolinea la Cassazione, solo dal punto di vista economico si potrebbe “astrattamente ipotizzare che la situazione di chi cede l’azienda sia assimilabile a quella di chi cede l’intera partecipazione societaria, posto che in entrambi i casi, in qualche modo, si «monetizza» il valore del complesso dei beni aziendali”.

In sintesi, la Cassazione ha recepito l’evoluzione normativa dell’art. 20 del DPR 131/86 e ne applica rigorosamente i principi, in linea con le decisioni anche della Corte Costituzionale, che ha confermato la legittimità e gli effetti retroattivi di tale normativa.

 

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