Le cessioni delle quote di partecipazione al valore nominale possono essere oggetto di accertamenti fiscali che si fondano su una presunzione di “occultamento di corrispettivo“. Gli Uffici dell’Agenzia delle Entrate spesso procedono con accertamenti basati su questa presunzione, sostenendo che la cessione delle partecipazioni al valore nominale nasconda una plusvalenza non dichiarata.
L’interessante Studio n. 852-2014/T del Consiglio nazionale del Notariato fornisce diverse indicazioni per distinguere le operazioni che presentano un maggiore rischio. Ad esempio, le cessioni tra estranei sono considerate più sospette rispetto a quelle tra membri dello stesso nucleo familiare. Tuttavia, la prassi degli Uffici si concentra maggiormente sulle cessioni tra soggetti collegati da rapporti di parentela o di compartecipazione nella società.
Sotto il profilo dell’attività svolta, le cessioni di quote di società immobiliari possono rappresentare rischi maggiori rispetto a quelle di settori industriali o commerciali, poiché esprimono plusvalori non espressi dal mero capitale sociale.
È importante considerare anche il tempo trascorso dalla costituzione della società, poiché una società appena costituita avrà un avviamento meno rilevante rispetto a una più consolidata.
La giurisprudenza sugli accertamenti relativi alla cessione di partecipazioni a un valore inferiore a quello di mercato non sembra favorevole per i contribuenti cedenti. La Cassazione ha confermato la legittimità di accertamenti basati sulla differenza significativa di prezzo tra cessioni simili e sulla valutazione complessiva dell’operazione di cessione.
In conclusione, gli operatori devono prestare particolare attenzione alle cessioni delle quote di partecipazione al valore nominale e considerare le implicazioni fiscali e giuridiche che ne derivano, al fine di evitare accertamenti e controversie con l’Agenzia delle Entrate.