Plusvalenze e cessioni d’azienda

La plusvalenza fiscalmente rilevante nella cessione d’azienda è un tema cruciale ai fini delle imposte dirette e la sua determinazione avviene al momento della conclusione del contratto. Le eventuali vicende successive, come il mancato ricevimento del prezzo pattuito o la sua rateizzazione, non incidono sul riconoscimento della plusvalenza. Questo principio, ribadito di recente con l’ordinanza 3936/2024, è ben radicato nella giurisprudenza della Cassazione, anche se i contribuenti tentano talvolta di evitare l’imposizione di plusvalenze non ancora realizzate dal punto di vista finanziario.

Tuttavia, per i cedenti in contabilità ordinaria, il principio di competenza fiscale è inequivocabile: il provento è ricondotto alla data di stipula dell’atto di cessione (articolo 109, comma 2, lett. a, del Tuir).

Anche nel caso di cessioni annullate, la Cassazione ha confermato l’inalterabilità del principio di competenza. La restituzione dell’incasso dopo l’annullamento della vendita non influisce sulla plusvalenza precedentemente riconosciuta, poiché si tratta di eventi fiscalmente distinti: la realizzazione della plusvalenza tramite la vendita, da un lato, e la (successiva) emersione di un componente negativo conseguente all’annullamento della stessa vendita, dall’altro, che vanno dichiarati – l’uno come ricavo, l’altro come perdita – nei distinti periodi in cui si verificano.

In effetti, per le aziende come per i crediti emergenti dalle altre cessioni, l’impresa (se ancora attiva) dispone della deducibilità della perdita su crediti ex articolo 101, comma 5, del Tuir, in presenza dei prescritti requisiti. Anche nella contabilità semplificata (articolo 66 del Tuir) è prevista la perdita su crediti, limitatamente ai proventi che restano imputabili per competenza e, soprattutto, nell’ipotesi in cui il contribuente abbia optato per il regime del “registrato” di cui al comma 5 dell’articolo 18 del Dpr 600/1973.

 

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