Con l’ordinanza n. 34655 del 27 dicembre 2024, la Corte di Cassazione si è espressa per la prima volta sulle richieste di rimborso avanzate dai lavoratori impatriati per ottenere, in via retroattiva, i benefici fiscali non utilizzati nelle singole annualità. La decisione è stata favorevole al contribuente, riconoscendo il diritto al rimborso basandosi esclusivamente sulla verifica dei requisiti previsti dall’art. 16 del D.Lgs. 147/2015.
La questione si inserisce in un panorama giurisprudenziale ancora in evoluzione, caratterizzato da due visioni opposte. Da un lato, l’Amministrazione finanziaria sostiene che l’accesso ai benefici fiscali richieda specifici adempimenti da parte del contribuente, come previsto dalle circolari dell’Agenzia delle Entrate n. 17/2017 e n. 33/2020. Tali adempimenti includono la richiesta scritta al datore di lavoro o la corretta indicazione dell’imponibile ridotto nella dichiarazione dei redditi. In mancanza di queste azioni, i benefici sarebbero preclusi, considerandoli di natura opzionale. Dall’altro lato, l’orientamento accolto dalla Cassazione pone come unico requisito l’aderenza alle condizioni sostanziali previste dall’art. 16 del D.Lgs. 147/2015. Secondo questa interpretazione, il beneficio può essere richiesto anche attraverso una dichiarazione integrativa a favore o un’istanza di rimborso.
Il caso specifico riguardava un contribuente che, avendo diritto al regime dei cosiddetti “controesodati” trasferitisi in Italia entro il 31 dicembre 2015, aveva successivamente optato per il regime degli impatriati previsto dall’art. 16, comma 4, del D.Lgs. 147/2015. Tuttavia, il contribuente non aveva rispettato i requisiti formali per fruire dell’agevolazione, come la richiesta scritta al datore di lavoro o l’indicazione corretta dell’imponibile ridotto nella dichiarazione dei redditi.
La Corte ha giudicato irrilevanti tali omissioni formali, chiarendo che esse servono solo per facilitare il meccanismo di applicazione dei benefici tramite il datore di lavoro, ma non condizionano il diritto sostanziale al rimborso.
In sostanza:
- la comunicazione al datore di lavoro rappresenta una modalità operativa per anticipare il vantaggio fiscale, ma non configura un obbligo per accedere al regime agevolato;
- l’assenza di indicazioni nella dichiarazione dei redditi può essere sanata mediante una dichiarazione integrativa o un’istanza di rimborso, presentata nei termini previsti dall’art. 38 del DPR 602/73.
L’ordinanza sembra avere implicazioni di carattere generale, con due aspetti di rilievo. Da un lato, potrebbe aprire la strada al riconoscimento di istanze di rimborso presentate anche oltre i termini previsti dai provvedimenti applicativi, come nel caso del prolungamento delle agevolazioni per vecchi regimi o per categorie specifiche di lavoratori, quali i docenti e ricercatori. Dall’altro lato, la Cassazione ha chiarito che il rimborso è limitato ai lavoratori rientrati in Italia entro il 29 aprile 2019. Dopo tale data, infatti, il comma 5-ter dell’art. 16 ha introdotto una disposizione che esclude il rimborso delle imposte già versate volontariamente.
Questa limitazione, tuttavia, solleva dubbi di costituzionalità e possibili profili discriminatori, considerando che la norma si applica esclusivamente ai contribuenti non iscritti all’AIRE ma residenti all’estero in base a trattati internazionali. Tale restrizione, secondo alcuni, contrasterebbe con il principio di parità di trattamento e con la prevalenza del diritto europeo sulle leggi nazionali.