Possono beneficiare del regime agevolato per i lavoratori impatriati di cui all’art. 16 del D.Lgs. 147/2015 anche coloro che non hanno presentato preventiva richiesta al datore di lavoro, ma che abbiano applicato l’agevolazione in sede di dichiarazione dei redditi o abbiano presentato istanza di rimborso ai sensi dell’art. 38 del DPR 602/1973 per le maggiori ritenute subite. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 15234 del 7 giugno 2025, tornando per la seconda volta sull’argomento, seppur con un iter motivazionale non privo di incertezze.
La vicenda riguardava un cittadino statunitense trasferitosi in Italia a gennaio 2018 per ricoprire un incarico alle dipendenze di una società italiana. Il contribuente aveva autonomamente applicato il regime agevolato nella propria dichiarazione dei redditi. L’Agenzia delle Entrate, tuttavia, aveva contestato l’accesso al beneficio sostenendo che il contribuente non avesse esercitato l’opzione nei termini previsti dal provvedimento del 31 marzo 2017.
La Commissione Tributaria Regionale della Valle d’Aosta (sentenza n. 28/2022) ha accolto il ricorso del contribuente, chiarendo che il provvedimento citato dall’Amministrazione si riferiva esclusivamente ai lavoratori “contro-esodati” di cui all’art. 2 della L. 238/2010, trasferitisi in Italia entro il 31 dicembre 2015. Il caso in esame, invece, rientrava nell’ambito del regime previsto dall’art. 16 del D.Lgs. 147/2015, nella versione vigente fino al 29 aprile 2019, e pertanto non soggetto a tale provvedimento.
Pur richiamando fonti normative e prassi riferibili al regime dei “contro-esodati” (in particolare la circ. Agenzia delle Entrate n. 14/E del 2012), la Suprema Corte ha confermato il diritto del contribuente al beneficio, sottolineando l’assenza di una causa di decadenza fondata sul mancato invio della richiesta al datore di lavoro. Ha ribadito che, in mancanza di tale adempimento, è comunque ammessa la presentazione dell’istanza di rimborso ai sensi dell’art. 38 del DPR 602/1973.
Anche se non esplicitato dai giudici, tale principio si estende all’interpretazione dell’art. 16 del D.Lgs. 147/2015, tenuto conto che l’unico motivo di decadenza previsto dall’art. 3 del DM 26 maggio 2016 riguarda il mancato mantenimento della residenza in Italia per almeno due anni. Gli adempimenti richiesti dalla prassi (circ. n. 33/2020) non trovano dunque fondamento normativo diretto.
La Corte richiama anche una precedente ordinanza (n. 34655 del 27 dicembre 2024), con cui era stata ammessa la validità della richiesta di rimborso anche in assenza della preventiva opzione al datore, purché sussistessero i requisiti sostanziali richiesti dalla norma. In quell’occasione, la Corte aveva formulato un principio di diritto secondo cui il beneficio spetta a chi dimostri di possedere i requisiti e abbia presentato la richiesta al datore oppure abbia proposto istanza di rimborso, anche mediante dichiarazione dei redditi.
Con la pronuncia del 2025, la Cassazione sembra aver rettificato in parte la portata dell’ordinanza precedente, che pareva escludere il rimborso per i trasferimenti successivi al 29 aprile 2019, in applicazione del comma 5-ter dell’art. 16. Tale disposizione vieta il rimborso delle imposte versate spontaneamente, ma solo nell’ambito specifico da essa disciplinato (i cittadini italiani non iscritti all’AIRE ma già residenti all’estero). Il richiamo alla norma, quindi, non era pertinente al caso concreto.
Le due pronunce della Suprema Corte, pur evidenziando alcune incoerenze nell’argomentazione, convergono su un principio essenziale: il diritto al regime agevolato spetta a chi, per ogni singolo anno d’imposta, soddisfa i requisiti sostanziali di legge, indipendentemente dall’invio di un’apposita opzione al datore di lavoro. Il carattere opzionale del beneficio, spesso invocato dal Fisco per negarne l’accesso, non può quindi rappresentare un ostacolo alla sua fruizione, né impedire la possibilità di richiedere il rimborso delle imposte pagate in eccesso.