Autorizzazione ad un illecito e responsabilità dei soci di srl

Con l’ordinanza n. 22169 del 2025 la Corte di Cassazione ha ribadito un principio di particolare rilievo per le società a responsabilità limitata: i soci che autorizzano o avallano condotte gestorie illecite possono essere chiamati a rispondere, insieme agli amministratori, dei danni arrecati alla società e ai creditori. La vicenda esaminata riguardava il caso in cui i soci, nonostante l’erosione del capitale sociale, avessero consentito la prosecuzione dell’attività, rinviando l’adozione delle misure imposte dalla legge, quali la riduzione del capitale o la messa in liquidazione.

La Suprema Corte ha richiamato l’art. 2476, comma 8, del codice civile, che prevede la responsabilità solidale dei soci quando abbiano deliberato o autorizzato atti pregiudizievoli nei confronti della società, degli altri soci o dei terzi. Si tratta di un’eccezione al principio cardine secondo cui, nella srl, il rischio delle obbligazioni sociali resta confinato al patrimonio della società. La norma individua, dunque, un’ipotesi in cui la condotta dei soci, lungi dall’essere neutra, diviene causa diretta dell’aggravamento del dissesto o della lesione degli interessi dei creditori.

Ciò che emerge con chiarezza è che la responsabilità non discende da un mero atteggiamento passivo, ma da una condotta positiva: avere deciso o comunque consentito agli amministratori di adottare scelte di gestione dannose. E non è necessario che l’autorizzazione sia formalizzata in un atto assembleare; può anche risultare da comportamenti o manifestazioni di volontà idonee a orientare l’operato degli amministratori. In questa prospettiva, la Cassazione ha già avuto modo di sottolineare che rileva qualsiasi forma di influenza effettiva sull’attività gestoria, anche se esercitata al di fuori delle sedi assembleari.

Un ulteriore profilo approfondito riguarda il requisito dell’intenzionalità. Non occorre che il socio abbia previsto e voluto il danno specifico poi verificatosi; è sufficiente che abbia deliberatamente assunto la decisione o prestato l’autorizzazione consapevole della sua illegittimità, orientando così l’azione degli amministratori. Interpretare l’avverbio “intenzionalmente” come riferito al danno e non all’atto stesso significherebbe ridurre in maniera irragionevole l’ambito applicativo della norma e introdurre una disparità rispetto al regime di responsabilità gravante sugli amministratori, i quali rispondono dei danni cagionati indipendentemente dalla previsione soggettiva delle conseguenze.

Nel caso concreto, i giudici di merito avevano già accertato che i soci, anziché intervenire per ripristinare l’equilibrio patrimoniale tramite il risanamento o la ricapitalizzazione, avevano deliberatamente sostenuto la prosecuzione dell’attività societaria con l’obiettivo di preservare il valore delle proprie partecipazioni fino alla loro eventuale cessione. La Cassazione ha ritenuto corretto tale inquadramento, attribuendo anche ai soci, e non solo agli amministratori, un concorso causale nella prosecuzione illegittima della gestione.

Di particolare rilievo è infine la precisazione secondo cui la responsabilità dei soci non viene meno per il fatto che essi detenessero solo quote di minoranza, prive in teoria della capacità di orientare da sole le scelte assembleari. Ciò che conta non è il peso della partecipazione, bensì la condotta commissiva che abbia contribuito a determinare le scelte gestorie degli amministratori. Anche il socio di minoranza, quindi, se autore o coautore di decisioni o autorizzazioni illecite, può essere chiamato a rispondere al pari degli altri.

 

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