La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20514 del 2025, ha chiarito che il diritto di una società di persone di ottenere la restituzione delle somme indebitamente prelevate dai soci a titolo di anticipazioni di utili non effettivamente conseguiti è soggetto al termine di prescrizione ordinario decennale previsto dall’art. 2946 c.c., e non a quello quinquennale dell’art. 2949 c.c. relativo ai diritti derivanti dai rapporti sociali.
Tale orientamento discende dalla qualificazione dell’azione come ripetizione di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., la quale si fonda sul presupposto della non debenza del pagamento e si colloca al di fuori della disciplina dei rapporti sociali.
La Corte sottolinea che, ai sensi dell’art. 2303 c.c., applicabile sia alle società in nome collettivo sia a quelle in accomandita semplice, non è consentita la distribuzione di somme tra i soci se non per utili realmente conseguiti; pertanto, il prelievo di importi in assenza di effettivo utile di esercizio configura un’ipotesi di indebito e legittima la società a richiederne la restituzione.
La prassi, piuttosto diffusa nelle società di persone, di anticipare somme ai soci prima dell’approvazione del rendiconto annuale si pone in contrasto con le disposizioni civilistiche e comporta conseguenze giuridiche di rilievo, benché la Suprema Corte non si sia espressamente soffermata su questo aspetto nel caso di specie.
L’azione con cui l’amministratore richiede la restituzione delle somme percepite dai soci a titolo di utili non conseguiti rientra pienamente nella disciplina della condictio indebiti, che ha natura autonoma e trova fondamento nel pagamento indebitamente eseguito. Sebbene il prelievo abbia origine da un rapporto sociale, l’oggetto dell’azione non è il diritto derivante da tale rapporto, bensì la verifica della non debenza del pagamento stesso e il conseguente diritto alla ripetizione.
Come rilevato dalla Cassazione, il fatto che l’indebito derivi da un rapporto societario costituisce soltanto il presupposto dell’azione, non la sua causa diretta, e non è dunque idoneo ad attrarla nel regime prescrizionale più breve dei diritti sociali. L’art. 2033 c.c. delinea infatti un’azione generale, disciplinata autonomamente, volta a ottenere la restituzione di quanto pagato in difetto dei presupposti di legge, e la relativa prescrizione non può essere confusa con quella del diritto che ha dato origine al pagamento indebito. La disposizione di cui all’art. 2949 c.c. va interpretata in senso restrittivo, limitandosi ai diritti propri del rapporto sociale e non potendo estendersi alle azioni restitutorie derivanti da indebiti pagamenti.
In conclusione, secondo la Suprema Corte, l’azione per la restituzione delle somme indebitamente prelevate dai soci ha natura autonoma rispetto ai diritti sociali e si prescrive nel termine ordinario di dieci anni. Ne consegue che i soci che abbiano prelevato utili non effettivamente maturati restano obbligati alla restituzione delle somme per un periodo di tempo significativamente più lungo, a tutela della corretta gestione patrimoniale e dell’integrità del patrimonio sociale.
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