Nel disegno di legge di bilancio 2026 emerge un intervento destinato a ridefinire in modo significativo la tassazione dei dividendi percepiti dalle società, introducendo un’impostazione che supera l’assetto ormai consolidato dal 2004. L’attuale meccanismo, che limita al 5% la base imponibile degli utili distribuiti ai soggetti IRES, verrebbe infatti preservato solo qualora il percettore detenga una partecipazione pari almeno al 10% del capitale dell’emittente, calcolata includendo anche le quote possedute tramite veicoli controllati secondo il criterio demoltiplicativo della catena partecipativa.
L’impostazione varrebbe anche con riferimento agli utili provenienti da soggetti esteri. Una regola analoga verrebbe estesa alle società di persone attraverso la revisione dell’art. 59 del TUIR, con la conseguenza che, in mancanza di una partecipazione qualificata, verrebbe meno l’esclusione parziale degli utili e l’imposizione tornerebbe a essere integrale, coerentemente con il principio di derivazione.
Nulla muterebbe, invece, per la tassazione in capo alle persone fisiche. Ne risulta un modello che, semplificando, richiama la logica del regime “madre-figlia”, applicata però in via generalizzata e con un perimetro che non coincide né con il sistema delineato dalla direttiva 2011/96/UE, né con la participation exemption interna, né con le regole internazionali sulla minimum tax che, come noto, distinguono tra partecipazioni qualificate o non qualificate, ma vincolano comunque alla detenzione per almeno un anno, requisito accolto nell’ordinamento italiano dal DLgs. 209/2023.
Il nuovo schema IRES non recepisce invece alcun vincolo temporale di possesso, creando una frattura rispetto sia al diritto unionale sia ai criteri adottati per disciplinare la PEX. Se il testo dovesse essere confermato, potrebbero inoltre emergere incoerenze rispetto alle misure introdotte negli anni recenti per garantire un assetto fiscale coerente con i principi europei. Basti pensare alla ritenuta ridotta dell’1,20% sulle distribuzioni verso società residenti in UE o SEE introdotta dall’art. 27, comma 3-ter, del DPR 600/73 allo scopo di garantire una parità di gettito con il carico teorico che graverebbe su un soggetto IRES residente beneficiario del medesimo dividendo.
Con la nuova disciplina, tale equilibrio rischierebbe di essere compromesso: un socio comunitario continuerebbe infatti a scontare un prelievo di 1,20 ogni 100 distribuiti, mentre un soggetto IRES italiano privo del requisito del 10% sarebbe tassato per 24, generando una evidente divergenza di trattamento. In questo scenario, i gruppi dovrebbero valutare attentamente la propria architettura partecipativa per determinare se e in quale modo sia possibile mantenere l’accesso al regime agevolato del 5%, evitando l’imponibilità integrale dei dividendi “sotto soglia”.
Quanto al profilo temporale, le nuove norme si applicherebbero alle distribuzioni deliberate dal 1° gennaio 2026, facendo dunque riferimento non alla data del pagamento ma alla decisione assembleare che dispone l’attribuzione delle somme. Si riproporrebbe così una situazione simile a quella introdotta dalla legge di bilancio 2018 per le persone fisiche, disciplinata successivamente dal principio di diritto n. 3/2022 dell’Agenzia delle Entrate, che pur confermando la rilevanza del momento di delibera ha aperto alla possibilità di contestare eventuali operazioni artificiali, quali le delibere seguite da retrocessioni al socio o quelle caratterizzate da condizioni di pagamento particolarmente dilazionate, in presenza di elementi che possano far presumere obiettivi elusivi.
L’evoluzione del quadro resta comunque subordinata alla versione definitiva del testo, ma il passaggio prospettato rappresenterebbe un cambiamento di rilievo per la fiscalità societaria, con impatti potenzialmente ampi sia sulle politiche di distribuzione sia sulle strutture di partecipazione adottate dalle imprese.
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