Con la risposta a interpello n. 124 del 30 aprile 2025, l’Agenzia delle Entrate si pronuncia per la prima volta sull’abuso del diritto alla luce delle nuove indicazioni contenute nell’atto di indirizzo del MEF del 27 febbraio 2025, segnando così una prima applicazione ufficiale del nuovo orientamento.
L’Agenzia ribadisce che, in linea con quanto previsto nel documento ministeriale, l’analisi dell’abusività di una condotta deve partire dalla verifica dell’esistenza di un vantaggio fiscale indebito. Qualora tale beneficio non sia riscontrabile, viene meno ogni necessità di approfondire ulteriori elementi della fattispecie abusiva, quali l’assenza di sostanza economica o l’intenzionalità elusiva. Si tratta di una conferma della prassi già adottata dall’Amministrazione finanziaria in precedenti occasioni (si veda ad esempio la risposta n. 216/2024).
Un elemento innovativo contenuto nella risposta riguarda il criterio di valutazione del vantaggio fiscale in operazioni singole: il giudizio va espresso tenendo conto della ratio della norma effettivamente applicata dal contribuente, e non della norma che si sarebbe potuta applicare in ipotesi alternative. Questa impostazione, coerente con l’art. 10-bis, comma 4, della Legge n. 212/2000, tutela il diritto del contribuente a scegliere tra più soluzioni fiscalmente differenti senza incorrere automaticamente in contestazioni di abuso.
La fattispecie esaminata riguarda la scissione totale di una società semplice, partecipata in quote uguali (1/3 ciascuna) dai tre eredi del fondatore, con l’aggiunta di un socio d’opera privo di quota capitale. L’obiettivo dell’operazione è la costituzione di tre nuove società semplici, ciascuna intestata a uno degli eredi (più il socio d’opera), così da garantire a ciascuno una piena autonomia nella gestione delle rispettive attività.
Attraverso la scissione, il patrimonio della società originaria viene suddiviso in tre parti uguali tra le nuove entità. L’Agenzia ricorda che le società semplici non generano reddito d’impresa e pertanto restano escluse dal regime di neutralità fiscale dell’art. 173 del TUIR, che si applica unicamente ai soggetti titolari di reddito d’impresa.
In continuità con i chiarimenti forniti nelle risposte n. 309/2021 e n. 91/2018, l’Agenzia ribadisce che, in assenza di plusvalenze o conguagli tra i soci, la scissione non configura alcuna delle ipotesi impositive previste dall’art. 67 del TUIR, né in capo alla società, né ai soci. Tuttavia, se nel corso della scissione emergessero valori eccedenti o “ristori” tra i soci, tali differenze sarebbero da considerarsi operazioni a titolo oneroso, con conseguente tassazione ordinaria.
Poiché nel caso concreto l’operazione non genera alcun vantaggio fiscale indebito, l’Agenzia esclude l’applicazione della disciplina antiabuso di cui all’art. 10-bis della Legge n. 212/2000.
Infine, l’Amministrazione osserva che la scissione comporta anche lo scioglimento della comunione sulla partecipazione originaria, determinando un effetto equivalente a una divisione tra i coeredi. A livello tributario, ciò implica l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa dell’1%, come previsto dall’art. 3 della Tariffa allegata al DPR n. 131/1986.
Pur se la giurisprudenza (Cass. SS.UU. n. 25021/2019) ha chiarito che sotto il profilo civilistico la divisione non ha natura dichiarativa, sul piano fiscale è l’art. 34 del medesimo DPR a considerare tali operazioni rilevanti ai fini dell’imposta di registro, qualora non siano presenti conguagli.
Leggi la risposta completa dell’Agenzia delle Entrate e l’atto completo del MEF.