Costi soggettivamente inesistenti e deducibilità fiscale

Con la sentenza n. 8716 del 2 aprile 2025, la Corte di Cassazione torna ad affrontare uno dei temi più spinosi e dibattuti del diritto tributario: quello della deducibilità dei costi nei casi in cui siano coinvolte fatture inesistenti. Lo fa riaffermando, con fermezza e coerenza rispetto ai precedenti più autorevoli (in particolare le sentenze n. 8480/2022 e n. 4645/2020), una distinzione fondamentale: quella tra operazioni oggettivamente inesistenti e operazioni soggettivamente inesistenti. Una distinzione che, sul piano fiscale, ha un’importanza determinante.

Secondo la Corte, i costi derivanti da operazioni oggettivamente inesistenti non possono, in alcun caso, essere ammessi in deduzione, nemmeno laddove la documentazione formale appaia in linea con i requisiti richiesti dall’art. 109 del TUIR o dall’art. 5 del D.Lgs. 446/1997. L’esistenza contabile, insomma, non basta. Per poter incidere sul reddito imponibile, un costo deve poggiare su un fatto economico reale, riscontrabile, e non su un documento privo di riscontro sostanziale. Se la prestazione o la fornitura cui la fattura fa riferimento non è mai stata eseguita, manca il presupposto essenziale per il riconoscimento fiscale del costo.

Decisamente diversa, invece, è la valutazione delle operazioni soggettivamente inesistenti. In questi casi, pur in presenza di fatture emesse da soggetti fittizi o non operativi — come nel caso di società cartiere — l’operazione sottostante può comunque avere avuto una concreta esecuzione economica. A condizione che il contribuente sia in grado di dimostrarne con rigore l’effettività, l’inerenza e la certezza, la deduzione resta legittima. Naturalmente, ciò richiede una prova sostanziale e non meramente documentale, soprattutto nei casi in cui vi sia un sospetto fondato di frode o di consapevole partecipazione a meccanismi elusivi.

La Cassazione ribadisce che l’effettività dell’operazione non può essere presunta, ma deve emergere da evidenze oggettive. Il costo, per essere deducibile, deve corrispondere a una prestazione realmente resa e riferibile all’attività d’impresa, oltre a essere correttamente imputato al periodo d’imposta di competenza. L’inerenza deve fondarsi su un nesso economico diretto e specifico tra la spesa e l’attività produttiva del reddito. E infine, la certezza e la determinabilità impongono che l’importo sia definito e documentabile, senza margini di ambiguità o arbitrarietà.

Si consolida, dunque, un orientamento che non si limita a valutare la regolarità formale, ma che guarda in profondità alla sostanza economica delle operazioni. Le fatture riferite a rapporti realmente intercorsi — pur in contesti irregolari sul piano soggettivo — non vengono automaticamente disconosciute, a differenza di quelle che mascherano operazioni fittizie prive di qualsiasi contenuto reale.

Questo approccio evita che le irregolarità soggettive comportino, in via automatica, la perdita del diritto alla deduzione per costi che, sotto il profilo sostanziale, sono effettivi e funzionali all’attività imprenditoriale. La sentenza si inserisce così nel solco di una giurisprudenza sempre più attenta al contenuto concreto dell’operazione e alla buona fede del contribuente, senza tuttavia arretrare rispetto alla necessità di garantire rigore e coerenza nella lotta alle frodi fiscali.

 

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