Responsabilità della società per reati dell’amministratore di fatto

Secondo la Cassazione, quando una persona giuridica trae un ritorno economico da un comportamento illecito posto in essere nell’ambito della sua gestione, non può invocare alcuna posizione di estraneità, anche se l’autore della condotta non coincide con l’amministratore formalmente investito dell’incarico.

La Corte, con la sentenza n. 36683, depositata il 12 novembre 2025, ha ribadito un orientamento già consolidato, secondo cui la società risponde del vantaggio ottenuto qualora l’azione criminosa sia stata posta in essere, in via almeno prevalente, per incrementarne le risorse o ridurne gli oneri. Il caso esaminato riguardava una società attiva nel settore delle costruzioni navali, alla quale in sede esecutiva erano stati restituiti 112.000 euro sequestrati nell’ambito di un procedimento per utilizzo di componenti di costo fittizi nelle dichiarazioni fiscali. Il giudice dell’esecuzione aveva ritenuto che la società non potesse essere considerata coinvolta, anche alla luce dell’assoluzione della rappresentante legale, mentre gli autori delle condotte erano due gestori di fatto, giudicati privi di un legame organico con l’ente.

Sulla base di questa premessa, era stato annullato il vincolo cautelare e le somme erano state restituite. La Suprema Corte ha però censurato tale ricostruzione, osservando che le disponibilità oggetto di sequestro erano depositate su un conto intestato alla società e costituivano il risultato diretto dell’operazione fraudolenta, ideata e realizzata proprio per ridurre l’imposizione fiscale attraverso l’inserimento di costi inesistenti.

In altre parole, il profitto non era un effetto collaterale, bensì l’obiettivo della condotta; e questo dato, secondo i giudici, è sufficiente a escludere che l’ente possa essere considerato soggetto terzo rispetto all’illecito. Non assume rilievo il fatto che l’amministratrice di diritto non fosse coinvolta: ciò che conta è che l’attività fraudolenta fosse stata portata avanti da soggetti che esercitavano un ruolo gestionale stabile e incisivo, tale da qualificarli come amministratori di fatto e da rendere la loro azione imputabile alla società sotto il profilo dell’interesse perseguito e del vantaggio conseguito.

Da ciò deriva che il profitto – identificato nel risparmio d’imposta ottenuto grazie alle componenti negative fittizie – debba essere oggetto di confisca diretta nei confronti della società, ogniqualvolta esso sia rintracciabile nel patrimonio dell’ente. Interessante notare che la sentenza, pur muovendosi in un ambito che richiama chiaramente la logica della responsabilità degli enti, non fa alcun riferimento al possibile coinvolgimento della disciplina ex DLgs. 231/2001.

Una eventuale contestazione ai sensi dell’art. 25-quinquiesdecies avrebbe probabilmente posto la questione su un binario diverso, rendendo meno problematica la ricostruzione della relazione tra ente, autori del fatto e vantaggio economico; tuttavia, tale profilo non è stato affrontato, lasciando il baricentro dell’analisi esclusivamente sul ruolo gestorio di fatto e sul profitto rinvenuto nelle casse sociali.

 

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